You Make Me Feel Like

Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ricorrenza stabilita dalle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica contro la violazione dei diritti umani femminili. Sicuramente non basta un giorno all’anno per ricordarci il sempre più gravoso e drammatico tema del femminicidio nel mondo. Nonostante sia vero, il 25 novembre è un’opportunità per fermarsi a riflettere, su quanto ci sia ancora da fare, per fermare questa follia. Una follia che priva le vittime della loro libertà e dei propri sogni e nel peggiore dei casi della propria vita. La data di questa ricorrenza non è casuale: ricorda il disumano assassinio delle tre sorelle Mirabal del 1960, attiviste rivoluzionarie contro il Regime di Rafael Leònida Trujillo, dittatore della Repubblica Dominicana. Da allora queste tre strabilianti signore sono un simbolo per chi lotta contro la violenza sulle donne. Così come le scarpette rosse, dell’artista Chauvet, comparse per la prima volta nel 2009 a Ciudad Juarez (per ricordare le donne uccise on Messico). Da quel momento stanno facendo il giro del mondo e rappresentano tutte le donne massacrate per mano maschile. Le scarpette rosse sono un riferimento a tutte quelle donne che avrebbero dovuto calzarle ma che non possono più farlo e rappresentano il cammino ostico verso la conquista dei diritti civili femminili. Dal 2014 in Italia, sono stati oltre cento i femminicidi: uno ogni tre giorni. Più draconiana la manifestazione degli artisti che fanno ricorso alle bambole torturate e ricoperte di colori quali il nero e il rosso in quanto simboli di morte e sangue, un eclatante allusione al martirio subito dal corpo delle vittime.
La figura femminile ha sempre rivestito un ruolo di primo piano nella storia dell’arte, tanto è vero che ogni artista raffigura la donna nelle sue opere rendendo nota la considerazione e i significati che la società attribuisce al gentil sesso nel tempo. Talché è stata rappresentata come emblema di sensualità ed erotismo, divenendo un’icona della bellezza per eccellenza e finendo per essere relegata, soprattutto nelle opere del XIX secolo, al ruolo di madre-moglie e procreatrice. Ancora oggi, molto spesso, la figura femminile viene considerata in questi termini, ma nella società contemporanea la donna è altresì colei che viene spietatamente, crudelmente e ferocemente uccisa e violentata fisicamente, verbalmente e psicologicamente. La nota Artemisia Gentileschi è stata la prima pittrice a introdurre nell’arte i soprusi sulle donne nel XVII secolo, trasformando la violenza in bellezza. Con il suo coraggio ha sfidato le consuetudini del suo tempo e oggi è ricordata non solo come artista ma anche come simbolo del femminismo.
Il femminicidio affonda le sue radici nella storia umana, non a caso la concezione di donna come “proprietà” è profondamente radicato nel nostro background. Le donne non sono meglio degli uomini perché nessuno è meglio e nessuno è paggio: i due sessi hanno semplicemente pari dignità e rispettabilità che merita di essere onorata e non annientata con tanta veemenza.
La violenza sulle donne ha molti volti, Maurizio Gabbana nella sua mostra fotografica 25/11 You Make Me Feel Like?! propone l’endemico fenomeno della violenza consumata fra le mura domestiche. L’artista presenta 15 scatti in bianco e nero su cui sono riprodotti gli stati d’animo e le emozioni che una donna prova quando viene dissennatamente violata nel profondo della sua anima.
Maurizio Gabbana riesce attraverso lo strumento dell’arte, nelle specifico quello fotografico, e della bellezza ad affrontare un tema forte come quello del femminicidio e a trasmettere un messaggio di denuncia di rilevanza sociale, dando la prova della sua grande capacità di unire l’impegno civile e sociale alle sue innate doti d’artista. 
Una capacità che in queste opere è riuscito a sublimare. L’artista racconta con coraggio e maestria il dolore e il martirio di alcune donne vittime di violenza nelle mura di casa. Lo fa attraverso un linguaggio moderno, simbolico e diretto che amplifica ancora di più l’impatto emotivo con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema tanto delicato. 
La sensibilità ha condotto Maurizio Gabbana alla realizzazione di scatti fotografici adatti a rendere la società contemporanea partecipe di ciò che accade alle donne private della loro dignità e ridotte a larve umane da uomini. 
Arte come mezzo di comunicazione, come voce del popolo, come strumento che permette di gridare contro uno dei mali del nostro secolo. 
L’obiettivo di questa mostra personale è fare in modo che la società non rimanga indifferente davanti a così tanta inumanità e brutalità, anzi vuole essere un modo per dire che dobbiamo alzare il tiro dando luogo a manifestazioni che urlino forte contro questo male, in quanto l’arte deve darsi ancor di più per condannare questi carnefici. 
Con tutto sé stesso, Maurizio Gabbana vuole rendere giustizia a tutte quelle donne che vengono mal trattate dall’arroganza di certi esseri umani codardi che si definiscono uomini ma non meritano di essere chiamati tali, vuole essere la voce, che ancora è troppo debole, che deve mettere la parola FINE a questo male. La lotta contro la violenza sulle donne deve essere considerata come un emblema della forza del gentil sesso, della temerarietà che si deve assumere nei confronti dei seviziatori, non bisogna porre fine alla lotta per il rispetto della dignità e della vita dell’essere umano.
Arte come mezzo di comunicazione, come voce del popolo, come strumento che permette di gridare contro uno dei mali del nostro secolo.

La violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna,
ma soltanto distruggerla.
[ Benedetto Croce ]

Federica Fabrizi

Da tempo si era posta in me questa ispirazione che accogliendola è divenuta una sfida, non solo artistica o prettamente fotografica: interpretare la “violenza domestica” andare a fondo e in fondo attraversandone le mura.
Già nel 2016 parlavo dei bambini traditi, da allora crescendo questa Luce mi ha portato a chiedermi ed a chiedere quanta serenità VERA c’è nella Sweet Home.
Una violenza psicologica che porta anche alla violenza fisica verso i partner, i figli e gli anziani. Una donna psicologicamente più forte.
Un maschio più forte fisicamente. Entrambi nati da donna!…
Entrambi che arrivano a non sapersi dominare.
Un uomo, una donna che possono distruggere l’autostima di un figlio.
Tutto si gioca tra maschi e femmine in un rapporto spesso logorato da stanchezze, da troppi egoismi, da troppi impegni fuori le mura...
Ma tutto con volontà si può ricostruire consolidare.
Un vaso, contenitore di rapporti ,di segreti, di reciprocità, di condivisione, si spacca, si rompe una vita, si straccia: l’egoismo, l’egocentrismo hanno il sopravvento.
Dopo una lunga ricerca ho avuto il contatto di Chiara Lorenzetti che ha accettato subito l’idea ed abbiamo strappato, spaccato violentemente un vaso bianco, dipinto manualmente per la metà di nero, abbiamo lasciato le nostre impronte come testimonianza di un vissuto, di una contesa infinita ed estenuante: cosa può riunire questo sentimento se non lasciandosi attraversare da l’intruso, un nuovo Spirito, un nuovo Amore, nuovi Desideri, cercando e trovando la Novità?
Ed ecco la ricomposizione, con tecnica Kintsugi, la “saldatura” che con sapienza, Chiara, ha ricostruito;
Chiara dice «Le mie mani, insieme alle sue, raccontano la rottura violenta tra un uomo e una donna, poi ho lasciato la mente libera di vivere la rottura di sentire la ricomposizione faticosa e complessa. Ho usato la lacca Urushi con la sua lentezza, il tempo del perdono, ho usato l’oro per per riparare per proteggere per dare forza». Aggiungo Restituendolo Nuovo, più Forte, più Prezioso: con l’Oro, che se vogliamo approfondire è il primo dei 3Doni.