CERTE VOLTE SONO BIANCHE
“Hiih… E che so’ quelle? / Quelle sono le nuvole. / E che so’ ‘ste nuvole? / Mah…/ Quanto so’ belle… quanto so’ belle… quanto so’ belle…/ Ah, straziante, meravigliosa bellezza del creato!”. Così dialogavano le marionette di Otello e Jago danneggiate dalla furia del pubblico che salva Desdemona dalla morte e getta i due in una discarica da cui osservano il cielo. Siamo nel 1967 e Pier Paolo Pasolini reinterpreta la tragedia shakespeariana con uno dei suoi film più poetici: Che cosa sono le nuvole? È una domanda a cui si risponde solo ricorrendo all’immaginazione, alla fantasia, all’inventiva perché altrimenti…… Vogliamo provarci con una definizione precisa? “Le nuvole sono idrometeore costituite da minuscole particelle di vapore d’acqua condensato e/o cristalli di ghiaccio sospesi nell’atmosfera grazie a correnti ascensionali o in stato di galleggiamento”. Bastano due righe per quanto precise e rigorose per fa evaporare – è il caso di dirlo – ogni dimensione poetica! Quando Maurizio Gabbana ha cominciato a puntare l’obiettivo della sua fotocamera verso il cielo il suo intento non era quello di creare un atlante capace di dar conto delle pur affascinanti variabili di grandezza, altitudine, luminosità con cui si classificano le nubi. Il suo interesse era, invece, concentrato sul rapporto profondo e ancestrale con cui noi ci confrontiamo con il cielo perché osservandolo noi in realtà guardiamo in noi stessi. Gli antichi, che delle nuvole poco disquisivano essendo un ostacolo alla visione, studiavano il cielo ora con atteggiamento laico – il filosofo Talete, uno dei sette sapienti, sapeva prevedere le eclissi ed era a capo della flotta di Mileto perché usava le stelle come guida – ora con quello spirituale quando tentavano di prevedere il futuro o intuire le intenzioni più o meno benevole delle divinità. E se nella pittura il cielo poteva alludere alla serenità come in Beato Angelico, all’inquietudine in Giorgione, alla paura in Géricault, alla gentilezza in Tiepolo, con l’età moderna e l’avvento della fotografia le nuvole perdono il loro significato così marcatamente simbolico: Maurizio Gabbana si fa forte di questa consapevolezza e dà vita a un percorso ricco di sorprese completamente immerso com’è in un azzurro che tutto avvolge. È da questa totalità che si susseguono, come in un inaspettato e spettacolare palcoscenico, le protagoniste di questa ricerca. Si modificano fino ad assumere forme che ricordano paesaggi, si allargano intrecciandosi in un groviglio armonico, si librano come fantasiosi uccelli del paradiso dalle piume svolazzanti, si frastagliano in una leggerezza che le scompone, si posizionano in un ordine che poi improvvisamente sconvolgono, danzano leggere in una prodigiosa simmetria, si colorano di un rosa intenso, di un giallo brillante, di un grigio cupo, si ergono austere, si inseguono gioiose, si ritrovano isolate e non sai se è perché sono corse troppo avanti o sono state lasciate indietro, si muovono su più piani per costruire un teatrale senso di profondità, creano sottili striature geometriche, si accostano scure verso un lontano centro, si arrotolano su se stesse, si rapportano con il mare, si accostano fino a formare una superficie unica, morbida e plastica, accolgono la luce spiovente dall’alto e ostacolano quella che proviene dall’orizzonte, si compattano e si sdoppiano, giocano a inseguirsi quasi avessero la misteriosa consapevolezza di essere osservate laggiù da quegli uomini che le indicano con il dito e discutono fra di loro perché in quelle stesse forme c’è chi coglie un volto e chi immagina un corpo femminile, chi vede i segni di una piacevolezza gioiosa e chi quelli di una inquietudine sottile. Le nuvole, dunque, non sono solo soggetti da osservare ma anche specchi capaci di riflettere i sentimenti, far immaginare le dimensioni del possibile, alimentare le speranze. Perché, come cantava Fabrizio De Andrè, Vanno, /vengono, / ogni tanto si fermano / e quando si fermano / sono nere come il corvo / sembra che ti guardano con malocchio / certe volte sono bianche / e corrono.
Roberto Mutti
Il DONO DELLA NUBE
Avevamo da poco lasciato l’Artista immerso nel suo indagare cosa ci dicono architetture e paesaggi antropici, creazioni dell’Uomo alla luce della Storia e delle Città, intento a catturare le loro dinamiche manifestazioni o indagarle nell’apparente assegna di significato.
Maurizio tuttavia, ancora prima di concludere quei progetti, era già oltre. Il suo sguardo già si alzava verso il cielo a contemplare le nubi, essenze insondabili che, appunto, esistono al di là delle creazioni dell’uomo. La sua sensibilità di Poeta Cristiano già indicava una via, che poi ha preso forma di progetto. Il Cielo senza Nubi appare Muto.
Rapito dal dinamismo delle celesti apparizioni, in forza del suo istinto fotografico Maurizio cerca di fissare tecnicamente, in un istante controllatissimo, l’imprevedibile frazione tra spostamento e fissità, la variabilità della luce che si vela di ombre precarie. Chiaroscuri che hanno significati scientifici, certo: se sono basse le nuvole sono piccole e leggere, se sono alte hanno volumi maggiori e schermano il sole. Ma tutto questo non ci soddisfa. E infatti l’Anima del Poeta resta in ascolto.
Si, perché il Cielo, che senza Nubi appare muto, tramite le Nubi parla all’Uomo.
Conoscere questo linguaggio e stabilire una qualche forma di risposta, è da sempre campo di ricerca spirituale di chi crede. Sono almeno 35 secoli, dall’Antico Testamento esattamente, che le popolazioni che si sono succedute si sono chieste come stabilire una connessione che ci permetta di ascoltare il linguaggio divino. Per usare parole attuali, potremmo dire che ci vuole uno stato di coscienza poetica; ma la poesia altro non è che meditazione e preghiera.
Sono le poesie, o le preghiere, quindi che ci permettono di raggiungere uno stato di connessione con il Divino. Di ascoltare la Nube. Perché è proprio così, con una Nube, che è stato visualizzato e descritto numerosissime volte lo stato di Grazia (ebraico: Shekhinah), in cui il Divino è venuto incontro all’Uomo. La Nube permette all’Uomo di avvicinarsi alla Divinità, talmente luminosa che potrebbe accecarlo. La Nube, lo stato di Grazia, che accompagna l’Uomo e lo indirizza, lo protegge.
Il Cielo con le Nubi di Gabbana è dunque una riflessione sulla urgenza di riconoscere (e aprire un dialogo interiore con) il Divino nella nostra vita, una facoltà che può essere esercitata da chiunque, al di là delle situazioni di provenienza, età, abilità, scelte e orientamento. Una speranza, un dono: che la nube del cielo sia per ciascuno di noi, uno stato di Grazia, una manifestazione del Divino.
Carla Tocchetti