Un poeta vede ciò che noi non riusciamo a vedere, e a dire ciò che non riusciamo a dire.
La realtà è allusione o illusione: un poeta sa cogliere il mistero che la abita. E sa raccontarlo.
Un poeta lascia che le emozioni accadano nel profondo e sa portarle alla luce.
Un poeta è come una notte stellata: ti fa vedere nel buio più lontano. Solo la notte spinge lo sguardo alle stelle e alle galassie, il giorno nasconde solo la propria cecità.
Un poeta racconta alla mente attraverso il cuore e al cuore attraverso le parole.
Le parole, in mano a un poeta, sanno superare la superficie banale dell’esistere per raccontare il mistero.
Per tutto questo Maurizio Gabbana è un poeta.
Lo è nella vita, lo è con una macchina fotografica in mano, lo è con la penna su un foglio di carta.
Leggere questa sua raccolta di poesie solleva l’animo, apre al mistero, fa scoprire la realtà, fa entrar in se stessi e sollevare lo sguardo. La sua poetica sa fare sempre un salto “oltre”, per rileggere tutto con uno sguardo più vero e profondo. Uno sguardo di fede che si alimenta del mistero del Dio che si è fatto carne. Il mistero di un’umanità abitata dall’infinito.
Queste pagine fanno bene al cuore e all’anima.
Vale la pena fermare tutto e meditarle. Meglio se presso un bosco o un prato. Meglio ancora se nella penombra di una chiesa antica.
Io ho provato a fare così. E mi accorgo che sto meglio e il mio sguardo si è approfondito di una luce nuova. Quella luce che solo gli artisti ti sanno consegnare.
Don Paolo Zago
Un uomo che molto ho amato è stato padre David Maria Turoldo, frate predicatore e poeta. Egli così diceva: “Gli stessi profeti della Bibbia erano chiamati poeti. Tra profezia e poesia il tutto si identifica. Sia il profeta che il poeta sono il vate divino. Il profeta non è tanto quello che annuncia il futuro, ma quello che denuncia il presente. Il profeta denuncia il presente perché lo confronta sempre con l’eternità della parola. Il divenire viene sempre confrontato sull’essere, l’essere di Dio diventa il futuro del mondo, ecco, in questo senso il profeta è l’annunciatore del futuro. Il futuro del mondo è la parola di Dio, il futuro del mondo è far combaciare il mondo con il disegno di Dio”.
Reputo che la poesia di Maurizio Gabbana, semplice a livello di base (semplicità discorsiva), ma profonda come intenti, sia un esempio dell’enunciazione che ho fatto in apertura. Infatti la poesia è una grazia, una possibilità di staccarsi per un po’ dal suolo e volare, quindi l’usare la parola come speranza, come “occhi nuovi”, al fine di reinventare quello che vediamo.
La poesia può nascere da un semplice gesto, da un semplice evento e può trattare argomenti infiniti. Può riguardare l’amore, l’amicizia, la morte, la fiducia, la guerra, la famiglia e tanto altro ancora. Le poesie, a loro volta, possono essere brevi o lunghe, ma spesso si pensa che quelle troppo corte non abbiano un significato pregnante. In realtà, il poeta, anche in soli due versi, può riuscire a trasmettere delle emozioni, sebbene ciò sia molto difficile, ma Gabbana ci riesce, e sempre con grande umiltà, anche quando accusa oppure quando “gioca” con le frasi. Del resto l’uomo non ha mai cercato di “inventare” una poesia, poiché essa nasce dal proprio animo. Tutti noi avvertiamo la necessità di esprimere i nostri sentimenti e alcuni, per farlo, decidono di prendere un foglio e di cominciare a scrivere. Quelle parole servono a far riflettere, a far pensare e immaginare. Possono essere tante o poche, ma tutte hanno lo stresso obiettivo, ovvero quello di “unirsi” con il lettore.
Tale forma d’arte può permetterci di andare oltre la realtà, di osservare cose che comunemente non vengono considerate, ci aiuta a scavare a fondo nel nostro cuore, desiderando di lasciare un segno… un segno che servirà per il resto della nostra vita, in modo da comprendere cosa sia giunto e cosa ingiusto. Maurizio Gabbana, tramite le sue poesie, ovviamente si schiera dalla parte degli ultimi, reputando la poesia quale fede e, la fede, quale “grazia assoluta”, quale “scommessa” esistenziale, quale esito consolatorio nei confronti della “disperazione”, quale “riscatto”. Da ciò, appunto, il suo scrivere in versi e la sua fotografia (infatti necessita ricordare che Maurizio Gabbana è anche un talentuoso fotografo) come “salvezza”, “luce”, “prima e ultima forma di conoscenza”, “intelligenza d’amore”, “supplemento di vita”.
Gian Ruggero Manzoni
Giro attorno all’uomo in ottanta pensieri
Sergio Mandelli
Reflex è il titolo di un volumetto di ottanta composizioni scritte da Maurizio Gabbana, che non ambiscono ad essere definite poesie
Chiamiamoli pensieri, perciò, che va bene.
Sono annotazioni di un personaggio che ha conosciuto il mondo e che ha esercitato il mestiere di vivere fra moda e famiglia, tecnologia e arte, con una spiccata predilezione per la fotografia.
Tuttavia, al fare del poeta appartengono queste brevi riflessioni per la loro provenienza da un “fragore silenzioso nello spirito”, quella condizione tipica della personalità creativa che sta in ascolto del turbinare delle proprie emozioni, mescolate a frammenti di strutture logiche, che appaiono qua e là nella mente, il più delle volte inattese, spesso inopportune, che però non si può fare a meno di trascrivere.
In questi brani, spesso risolti in pochissime righe, ricorrono luoghi che ne formano un certo paesaggio mentale: l’onda, il mare che si infrange sulla spiaggia, il crepuscolo, l’orizzonte nebbioso, situazioni che rimandano al liminare, alla percezione di un limite, che ci è dato di percepire, ma non di conoscere appieno.
E poi si intuisce il disagio che spesso si traduce in sdegno e sarcasmo per la corruzione – degli uomini e del paesaggio – in cui le persone si gonfiano della propria vacuità e dove i rami si intrecciano con i tralicci – ma non è cosa buona.
Nulla resisterebbe al degrado se non intervenisse un “incessante bisogno di silenzio”, corroborato dalla fede, che qui vediamo trasparire in filigrana quasi in ogni pensiero, fino alla percezione biblica della dignità dell’uomo, creatura spirituale poco meno al di sotto degli angeli, ma a cui gli angeli offrono il proprio servizio.
Abbiamo tutti, come gli yogurt, una data di scadenza, certamente, ma ancora di più abbiamo la speranza e i mezzi per vedere distintamente ciò che è vero. Spesso, se l’esistenza ci appare grigia è perché, invece di coglierne i colori, li mischiamo tutti assieme nel gioco del senza senso, della monotonia.
Sì, proprio quel grigio/che è inconsapevole/di essere composto/da tutti i colori/dell’arcobaleno.
E con questa evocazione coloristica si chiude idealmente un breve, ma intenso, viaggio attorno all’uomo, un essere per natura attratto dall’abisso del nulla, ma anche spinto a cercare sollievo in un altrove consolatorio.