Con la luce negli occhi

Ho conosciuto Maurizio Gabbana nel periodo in cui abbiamo lavorato nella stessa azienda, le occasioni per interfacciarsi non erano moltissime, mi aveva solo accennato alla sua passione per la fotografia. Io, da sempre nel mondo dell’editoria, mi affacciavo a quello della moda. Respiravo lavoro, tanto. Precisione, passione. Indimenticabile l’emozione delle prime sfilate. Lui sembrava essere lì da sempre. Poi ci siamo persi, per un lungo periodo. Ho iniziato a ricevere gli inviti alle sue mostre , ma ciclicamente non riuscivo ad andarci. Qualche tempo dopo ci siamo ritrovati, ho finalmente visto i suoi lavori e realizzato di non averlo mai preso abbastanza sul serio. Ho scoperto le inquadrature più classiche, la costante presenza della luce che rende tutto misterioso e affascinante. Stupita dalla sua tecnica mi sono confrontata con Marina Itolli, con cui collaboro da anni. Ho trovato piacevolmente sorpresa anche lei, tanto da chiederle un contributo testuale a questo libro. Maurizio ha iniziato a “mostrarsi” tardi e ora è in piena bulimia da scatto. Non è stato difficile per me selezionare tra i suoi lavori, ogni immagine vive da sola. Il fil rouge che collega un’immagine all’altra è la continua ricerca della luce; tanti piccoli racconti confluiscono in un’unica lunga storia. Luoghi non luoghi, immagini che si assomigliano tanto da sembrare ripetute, identità esasperate fino a scomparire. Il suo essere profondamente religioso, la ricerca della solitudine, il suo approccio alla natura. La sua passione per l’arte e la fotografia, il suo amore per la vita, sono riscontrabili in ogni scatto al quale si scelga di avvicinarsi. Entriamo nel suo mondo attraverso un assaggio di una sua installazione, poi un susseguirsi di luoghi e infine ne usciamo attraverso un’altra di esse che ci apre un percorso magico , onirico. Un cielo paradisiaco e un albero così potente da uscire dall’inquadratura, si sono scelti da soli, con un tale impeto da lasciarmi senza parole. E’ l’impeto di Maurizio, quello di quando parla, si muove, fotografa. E’ l’impeto con il quale arriva a chi lo guarda.

Catia Zucchetti

Un senso anagrafico o autobiografico, forse? Forse Maurizio Gabbana vuole capirsi meglio, vuole tracciare un parziale bilancio in merito al proprio avvio e primo percorso di una parabola che parrebbe annunciarsi lunga e proficua. Presumo, per incrementare l’impegno, la convinzione di un “fare” e in un “fare” ormai difficile. Perché oggi in troppi sperimentano con la fotografia, in troppi tentano di accedere in qualche modo al mondo dell’arte attraverso l’apparente scorciatoia del medium fotografico. Oggi che la fotografia è digitale. Ma il nostro Maurizio Gabbana sa distinguersi dagli altri, è diverso, anzi unico.

Di che cosa si tratta, qual è la “poetica” fotografica di Maurizio Gabbana, e quale esito emerge in merito a questa dalla monografia? Scatti fotografici che si affollano, si spingono, si impastano l’un l’altro riuscendo in qualche modo a guadagnare spessore e a ricordare altro da sé.

Citazioni tratte da: Maurizio Gabbana, una monografia: alias un dubbio rimbaudiano di Rolando Bellini

Senza scienza e dunque senza storia, o al più con una timida consapevolezza di avere alle spalle dei predecessori per questo o per quell’aspetto pur sempre marginale o complementare, mentre invece il nocciolo duro di questo suo “fare” fotografico resta assolutamente unico e inedito, o sbaglio

Si tratta – insisto nella mia analisi dei testi fotografici di Maurizio Gabbana – di scatti fotografici che si montano addosso l’un l’altro (frettolosa metafora di certa frenesia oggidiana?) e costituiscono così, alla fine, appercezioni multanimi. A loro modo non certo prive di magia. La magia di un altro vedere che può sorprendere e emozionare

Il che non è senza stupore dal momento ch’egli – lo ricordavo poco sopra – ha esordito, per di più, da grandicello, da uomo maturo e da padre esordiente e maturo, ad un tempo. Consapevole, dunque, consapevole più di altri – suppongo – dei pericoli, delle incongruenze, dei molti paradossi contemporanei. Tant’è che mi pare vada manifestando sottotraccia una qualche ansia… Ma di che cosa? Di correre tanti rischi per doversi guadagnare sul campo l’identità di artista?

Rivela al meglio, tuttavia, il lato debole, il profilo ingenuo e incantato di Maurizio Gabbana che, va pur detto, ha esordito da artista-fotografo appena l’altro ieri, fors’anche senza iniziale convinzione. Perché ce l’ho spinto io pescandolo non troppo tempo addietro quasi per caso e incoraggiandolo, poco a poco, a misurarsi con un’asticella posta sempre più in alto, per poterlo avvicinare in qualche modo al singolare universo mondo dell’arte. Inclusa l’arte fotografica.

Vale a dire in ciò che si può individuare nell’azione diretta – tutta radicata sull’improvvisazione – che il fotografo-artista attua di fronte ai suoi soggetti. A conferma ritengo utile aggiungere un dettaglio che poi non risulta essere cosa di poco conto: Maurizio Gabbana non rielabora in post-produzione i suoi scatti multipli, i suoi elaborati visivi.

Ma ciò non di meno, Maurizio Gabbana va avanti e di giorno in giorno cresce, si rafforza. Questo artista-fotografo, di tempo in temo, serie tematica dopo serie tematica, sperimentazione dopo sperimentazione, va maturando a tutta velocità un proprio lessico. Un lessico sempre più convincente e schietto.

Ecco perché Maurizio Gabbana va lanciandosi sul fronte dell’arte con un impegno notevole, con uno sforzo maggiore di altri. Sarà anche per questo ch’è dominato da una frenesia del “fare” che, talvolta, lo porta oltre i confini della realtà, della buona creanza, d’ogni convenzionalismo corrente, o no?Quel limiti della realtà a cui – io credo – egli va anelando da sempre. Quei confini della realtà – insisto – dove stanno i suoi elaborati fotografici, d’altro canto. Elaborati densi di sofisticatezze sottili e al tempo stesso nudi e crudi… Elaborati artaudiani dunque.

Oltre la percezione ordinaria, si cela ma può rivelarsi di colpo, un apprendimento visivo che si muove come l’attività cognitiva cerebrale, il nostro cervello. È in questo che trovo significativa la cifra sperimentale di Maurizio Gabbana. Egli riesce in qualche modo a rendere visibile questa processualità cognitiva. Sarà questa affermazione il segnale distintivo dell’avvento, in progress, di un talento alla Cartier Bresson o alla Man Ray, o no? Chi può dirlo. “Non vi sono poeti”, diceva Picasso da giovane, “c’è solo Rimbaud”.